Caro Josè*, scusa
se ti rispondo con qualche decennio di ritardo ma sono stato
molto impegnato a vivere da altre parti, nel mondo, ma
finalmente posso dedicarmi alla tua e-mail che mi hai inviato
sperando che tu possa perdonare la mia distrazione.
Mi ha molto
rattristato ciò che mi hai scritto, è stato come se sul mio
petto un grosso peso si sia posato rallentando il mio respiro, e
un "fiume" di disperazione mi avesse stretto in un vicolo senza
via d'uscita.
Sono stato a casa**
tua, ma tu non c'eri, sono entrato e ho visitato il tuo giardino
e il tuo studio**, che ho trovato molto sereni e pieni di pace,
poi sono uscito e mi sono affacciato al fiume ma esso non c'era,
proprio come mi avevi scritto, mi è sceso un colpo,
allora l'imponente parapetto con le grandi sfere di marmo mi ha
chiesto...<< Che senso ha che io stia qui, così massiccio, così
importante e così inutile?>>. Non ho saputo
cosa rispondere allora imbarazzato ho
cominciato a camminare e passando per piazza America ho trovato
tanti ponti ed anche loro mi fermavano e mi chiedevano tutti che senso
avesse stare li, così maestosi e così grandiosi, dove tanti
artisti hanno consumato il loro sudore e riempito le loro mani
di calli ? ho continuato a
camminare, confuso e dispiaciuto di non poter dare loro quelle
risposte tanto bramate, ma sai hanno messo tanti fiori... mi son
detto, alberi e fontane, la statua del gigante
Gulliver in cemento colorato, dove bambini giocano felici, poi c'è il palazzo della Musica e il
museo della Scienza e il parco Oceanografico, dove però tanti
pesci stanno li rinchiusi in grosse gabbie di vetro... si è
vero, tu mi scrivi che gente fiera e orgogliosa di lasciare
testimonianza dei
loro tempi, ha costruito ed ha custodito questa meravigliosa
città, entusiasti di lasciarcela in eredità, affinché noi ne
potessimo godere e ricordare quei tempi lontani.
Continui ,
caro Josè, a chiedermi il perchè a tutto questo ed io non so
rispondere; allora mi è venuto in mente, vado da lui, lui potrà
sicuramente darmi una risposta, sono andato e l'ho trovato
triste misero e afflitto, nella sua desolazione di quell'esilio.
Condannato per chissà quanto alla solitudine, abituato com'era
a stare sempre in festa, in mezzo alla gente che rideva
spensierata e i bambini che si bagnavano e giocavano in quelle
giornate calde e afose dove il sole tutto inondava, e allora gli
ho chiesto, perchè?, perchè?, e lui incredulo mi ha
risposto...<< sai ogni tanto mi lasciavo andare ad una allegria
sfrenata e, a volte, ma solo a volte, ebbro di pioggia mi
piaceva, prorompente, manifestare la mia virilità, la mia forza,
e allora un pò della mia acqua usciva dagli argini e bagnava le
loro strade. Non avrei mai pensato, che per tali sbronze, mi
sarebbe stata inflitta una pena assai tremenda, anche perchè nei
secoli passati nessuno aveva avuto mai di che lagnarsi, ed ora
mi trovo qui come un appestato ridotto ad un misero anonimo
corso d'acqua. Chissà mai se un giorno, spero non lontano, gli
uomini si ricordino di me e decidano di riammettermi al mio
rango, anche se ormai non ho più molta
speranza, visto che, anche la gente, "quella di
cultura" costruisce senza scrupoli la loro superbia nel mio caro
e sacro antico letto...>>.
Cosa potrei dire
a nostra discolpa, caro e amato Turia, le parole che tanto
copiose di solito escono come un fiume in piena, di punto in
bianco si sono come seccate, solo innumerevoli lacrime, escono
dalla mia smisurata disperazione nei confronti di questo
incredibile misfatto e posso solo dirti, caro fiume, che io
continuerò a sentire, sporgendomi da quel parapetto, ancora la
tua voce impetuosa che corre a valle in mille e mille gorgoglii,
immaginandoti sempre li, dignitoso, a guardia di quella
meravigliosa città.