"New York vista da Newark"

By Giosuè Marongiu 


 

…Da diverse ore stavamo volando nel cielo azzurro, sopra nuvole morbide come panna montata, inseguendo il sole che cercava di scappare dalla nostra vista, un tempo interminabile a bordo di quel grande aeroplano. Con le cuffiette poste sulle mie orecchie, pacatamente rilassato su di una grande poltrona di pelle bianca, seguivo nel piccolo monitor, un po’ distratto,  un film in programmazione. Le hostess, indaffarate, andavano su e giù cercando di accudire i molti passeggeri che stipati nella carlinga sembravano come immobilizzati nella loro poltrona. Ero stato fortunato a ottenere un posto in prima classe; non che me lo potessi permettere, ma perchè, mia sorella, in servizio su quel volo, mi aveva permesso di occuparlo in quanto libero. Era il mio primo viaggio diretto verso l’America, e, da lì a poco, mi sarei trovato come per magia, dall’altro capo del mondo. Una volta all’aeroporto, con un taxi raggiungemmo un palazzone che, benché lo fosse, non aveva per niente le sembianze di un albergo, dove in un piccolo monolocale mia sorella alloggiava, al rientro, tra un volo e l’altro. Erano tanti anni  che stavamo lontani e la trovai molto cambiata, così fiera nella sua bella divisa, ormai cittadina Americana, inserita in quella società dalla quale aveva assorbito, sicuramente, usi costumi e mentalità. Nel grande atrio, a piano terra, un numero consistente di uomini e donne, arrivati da diverse parti degli States,  per lo più di colore, vestiti con abiti da scena assai eccentrici impreziositi da lustrini, si incamminavano verso una piccola porta che dava ad un grande salone fumoso in penombra, dove, ad uno ad uno, gli ospiti si esibivano suonando musica jazz. Dalla finestra della nostra camera si vedeva in lontananza Manatthan con i suoi grattacieli, e benché il New Jersey non fosse così lontano, pareva una distanza incolmabile, come se quella visione fosse, non la realtà tangibile, ma  come proiettata da un grande schermo televisivo. Tutto sembrava decadente e abbandonato, nel quartiere che circondava l’albergo, grandi strade e palazzi importanti si sforzavano di far intravedere un periodo felice di grande sfarzo e lusso sfrenato, ormai però solo un ricordo del passato. Era come se da quella grande città fossero tutti scappati via, di gran fretta, lasciandola li, semivuota e grigia, sospesa nel suo tempo, dove tutto era immobile e silenzioso tranne per qualche foglio di vecchio giornale che, di quando in quando, si esibiva in leggeri voli giocosi, favoriti dalla brezza della sera, impossessandosi, della grande strada. La fame incominciò a farsi sentire e, risalito in camera, mia sorella ordinò per telefono una grande pizza, tutta già tagliata a spicchi, che consumammo al tavolino marrone che faceva da zona pranzo della piccola camera illuminata da una debole luce. Mi affacciai ancora alla finestra, per osservare nostalgico, le luci lontane di New York rammaricandomi… di non esserci mai stato.

 

Maracalagonis  17 maggio 2005
Giosuè Marongiu

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